Giulia De Paolis, Alessia Naccarato, Filomena Cibelli, Andrea D’Alete, Chiara Mastroianni, Laura Surdo, Giuseppe Casale, Caterina Magnani.
In “Complementary Therapies in Clinical Practice”34 (2019) 280-287
Giulia De Paolis, Alessia Naccarato, Filomena Cibelli, Andrea D’Alete, Chiara Mastroianni, Laura Surdo, Giuseppe Casale, Caterina Magnani.
In “Complementary Therapies in Clinical Practice”34 (2019) 280-287
Morire “fuori luogo” oggi: tra dolore e speranza : di Salvatore Natoli
All’interno del XXII congresso della SICP tenutosi il mese scorso a Sorrento, ho trovato ricco di spunti l’intervento di Salvatore Natoli, filosofo contemporaneo che si è spesse volte soffermato sul dolore e sulla sua esperienza.
La sua riflessione si è concentrata sul “ tempo che resta”, una dimensione importante per i malati cronici, per cui la morte incombe a lungo e si ha una diminuzione dell’autonomia nella vita, e per i malati in fase terminale per cui la morte incombe come un’ombra. Ma qual è il senso ? Come ci si rapporta ad esso ?
In generale si osservano due tipi di reazioni : chi vuole “durare” e che prova affezione per la vita e piacere di esistere e chi vuole morire, per i quali prima si muore meglio è – secondo ricerche internazionali il desiderio di anticipare la morte è presente nel 30% dei pazienti ricoverati in hospice ndr.
Da quando il dolore è trattabile si è trasformato fin nella sua essenza e da sintomo è diventato malattia; la medicina che è molto potente nell’accompagnare alla morte è però impotente nella protezione alla vita…
Se i soggetti vogliono vivere o meno dipende dal tipo di relazione che hanno con la vita e non dipende dalla medicina, la quale anzi si fa spietata quando vuole far vivere chi non vuole più vivere….
La sedazione riduce il dolore vivo, ma lo trasforma da dolore del corpo in dolore mentale di fronte allo spettacolo della propria dissoluzione. Infatti è solo quando il dolore non è più vivo che diventa mentale, è solo allora che puoi “distrarti” dalla morte, perché non è più presente che ti ricorda il suo approssimarsi…
Il palliativista opera così : distrae. Il soggetto si distrae dalla propria morte attraendolo alla vita.. la vita è relazione.
Gli uomini non vogliono morire perché la vita vuole se e perché non si accetta che il mondo possa durare senza di noi e oltre di noi.
Se le relazioni durano allora il morente può invece pensare che valga la pena di continuare a vivere- fino alla morte.
La morte porta ai margini e mette “fuori luogo”. Solo se ti ricollochi nelle relazioni, allora la presenza degli affetti ti ri-dà luogo quando la malattia aveva posto fuori luogo.
I legami danno senso al “tempo che resta”…
La medicina palliativa deve andare oltre, deve creare le condizioni favorevoli perché si innestino nel tempo che resta i legami viventi.
Ovvio è che i palliativisti operino sui “preliminari” e non su i “fili destinali”.
E’necessario cioè lavorare perché intorno al morente si costruisca un tessuto di umanità che gli permetta di vivere il tempo che resta, seppur contraddittoriamente.
Guardare senza essere visti può essere considerato come il tentativo di instaurare una particolare relazione con l’oggetto di desiderio vissuto come irraggiungibile e nello stesso tempo insostituibile.
Egli guarda e ri-guarda sempre lo “stesso” oggetto: il corpo femminile, in quanto oggetto , e i suoi stessi aspetti parziali:
L’oggetto di desiderio, questo corpo misterioso ammalia, seduce, incanta lo sguardo e, nello stesso tempo, si sottrae ad esso.
Ma come guarda colui che guarda ?
Guarda di nascosto
Guarda da sotto un tombino
Guarda da sotto una grata di un garage che dà su una pubblica via
Guarda da dietro il vetro di una finestra
Guarda dal buco della serratura
Guarda restando protetto.
Guarda infatti da una posizione che non permette che quel corpo sia toccato, aggredito, ferito, distrutto e nello stesso tempo impedisce che l’Altro lo tocchi, lo “sfiori”, nemmeno con la vista.
Come Perseo indossa l’elmo che lo rende invisibile per proteggersi dalla furia vendicatrice delle sorelle di Medusa, così colui che guarda, guarda senza farsi vedere per paura di subire delle rappresagli da chi è guardato.
Guarda mantenendo in questo modo una distanza o una vicinanza, l’unica possibile in quel determinato momento.Guarda, mantenendo e alimentando in una dimensione circolare un vissuto profondo di esclusione, di solitudine, di non-esistenza.
Forse colui che guarda è spinto dalla nostalgia di un corpo femminile che lo ha contenuto, ma dal quale non si è mai veramente separato e dove vorrebbe tornare.
E allora guarda anche per penetrare, per violare il mistero degli orifizi femminili.
E allora guarda per rassicurarsi che il corpo femminile sia ancora lì, per evitare di essere inghiottito: da Lei, da se stesso, dai suoi stessi impulsi.
E guardando si tiene lontano, si tiene ad una distanza che sembra irriducibile, il cui variare sembrerebbe intimamente connesso alla possibilità di affrontare il rischio di guardare ed incontrare di nuovo gli occhi di Medusa.
Eppure questa volta affronta il rischio di essere visto e si dispone alla possibilità di interiorizzare uno sguardo nuovo:
Uno sguardo nuovo che gli permetta di esistere, separato, ma accolto nei suoi bisogni vitali, uno sguardo libero dalle ritorsioni, dalle rappresagli.
Uno sguardo nuovo che lo guardi e lo scopra bambino e gli permetta di crescere di nuovo libero.
Psicologa analista, Membro Ordinario dell’Associazione italiana di Psicologia Analitica (A.I.P.A.) e della International Association for Analytical psychology (I.A.A.P) .
Laureata in Psicologia, indirizzo Clinico e di Comunità presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Iscritta all’Albo degli Psicologi e degli Psicoterapeuti del Lazio n.6722 dal 17 luglio 1996.
Per 10 anni circa, fino al Giugno 2000, ha lavorato presso i Dipartimenti di Salute Mentale del Lazio – Frosinone e poi Roma – operando in tutti i Servizi del territorio: Centri Diurni, Comunità Terapeutica per giovani psicotici, Centri di Salute Mentale,partecipando a vari progetti per la salute mentale e alla chiusura dell’ex O.P. “S.Maria della Pietà” di Roma.
Dal 2003 al 2008 ha collaborato al Progetto Immagine presso il CSM . U.O. del Modulo XX della ASL RomaE, via A.Di Giorgio nella conduzione dei gruppi terapeutici e riabilitativi.
Vive e lavora a Roma presso il suo studio.
Psicologa e Psicoterapeuta, affronta i problemi psicologici tramite colloqui, individuali o di coppia, con il metodo della Psicoterapia e Psicologia Analitica.
Attraverso uno sguardo e un’approfondita riflessione psicologica possiamo capire le motivazioni dei nostri comportamenti e poi modificarli quando disfunzionali, per dare senso a ciò che viviamo e trasformare la nostra vita e soprattutto i nostri rapporti.